lunedì 13 aprile 2015

Regionali Forza Italia, Fitto pronto a contestare liste e uso del simbolo: "Caro Silvio Berlusconi, ti porto in tribunale"

Regionali Forza Italia, Fitto pronto a contestare liste e uso del simbolo: "Caro Silvio Berlusconi, ti porto in tribunale"

Alessandro De Angelisalessandro.de.angelis@huffingtonpost.it


La rissa è destinata a finire in tribunale: “Qua – dice Fitto ai suoi – è tutto illegittimo, illegittimi gli organi, illegittimi i dirigenti di Forza Italia. Se ci tengono fuori dalle liste, il 1° maggio faccio ricorso e ci vediamo in tribunale”. Le fiamme dell’odio bruciano quel che resta di Forza Italia. Silvio Berlusconi, rientrato a Milano dopo la remise en forme a Villa Certosa, pare un fiume in piena: “Ingrati, traditori, gente che mi deve tutto e gioca allo sfascio”.


Tira dritto l’ex premier che è riuscito a incassare sul suo candidato, Adriana Poli Bortone, il sostegno della Lega, ma non quello della Meloni che è in contatto diretto col capo dei ribelli: “La Russa e Giorgia – spiegano ad Arcore – si giocano con Fitto la partita del ‘dopo’, aspettano il big bang per poi marciare sulle macerie”. Tira dritto pure Raffaele Fitto, che ha già consultato i legali per mettere nero su bianco una valanga di ricorsi: “Qua – ripete il capo dei ribelli – siamo solo all’inizio. Li farò impazzire”. Il commissario Vitali ha già detto che Fitto è fuori da Forza Italia e non può usare il simbolo. Pronta la contromossa: appena saranno presentate le liste di Forza Italia che sanciranno l’esclusione dei fittiani, la rissa si sposta nei tribunali. Fitto è pronto a contestare tutto, compreso l’utilizzo del simbolo di Forza Italia. La questione è già sul tavolo dei legali dell’ex governatore: “Il punto – spiega uno di loro all’HuffPost - è che non è illegittima solo questa o questa norma, ma è illegittimo lo statuto. Perché, sciolto il Pdl e riesumata Forza Italia, non è stato mai votato da un congresso. Mai”. Fa notare il legale che è illegittimo pure il presidente Silvio Berlusconi. Carta canta, all’articolo 19: “Il presidente del Movimento Politico Forza Italia è eletto dal Congresso Nazionale secondo le modalità previste dal regolamento”. Ma il congresso non si è fatto: “L’Epurator è abusivo” mormorano i ribelli.


Ecco è questo il clima che si respira nella campagna elettorale che rischia di passare alla storia come quella del disastro totale. Perché la verità è che il big bang pare essere l’obiettivo di tutte le parti in causa. Fitto in Veneto convergerà sul polo di Flavio Tosi, assieme ad Alfano. E presenterà liste anche in Campania. Pure Silvio Berlusconi pensa alla prima mossa dopo il disastro: l’ex premier lascia trapelare dagli spifferatori ufficiali che è pronto a un ennesimo ritorno in campo e a una campagna elettorale senza risparmiarsi, ma in verità ha spiegato, nei vertici che contano – quelli con la famiglia – che non ha alcuna intenzione di metterci la faccia. E non c’entra nulla la prudenza legata alla questione giudiziaria, si chiami Ruby ter o attesa per il certificato che attesta la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone.


L’inabissamento è legato a una strategia precisa: “Berlusconi – sussurra una fonte livello - dice che le regionali andranno male. Sarà una catastrofe, si aspetta un 6 a 1 per Renzi. Quindi prova a starsene fuori per poi scaricare le responsabilità sulla vecchia guardia e dire il minuto dopo: colpa vostra, ora facciamo come dico io, rinnoviamo tutto”. L’ultima suggestione è la creazione dei un nuovo contenitore, sul modello dei “Repubblicani”: “Va dicendo – prosegue la fonte – che bisogna fare come in America, da una parte i democratici, dall’altro il Repubblicani anche se è alla ricerca di un nome che non sia questo. E il 1° giugno l’idea è dire: sciogliamoci tutti in un contenitore più ampio”. Il problema è che, nell’ora del cupio dissolvi, è già chiaro che non si scioglierà nessuno: né Salvini, né la Meloni, né Alfano. L’unico partito che rischia di arrivare sciolto dagli elettori è Forza Italia. Gli ultimi report della Ghisleri sono da brivido: Caldoro in Campania è sotto e Giovanni Toti in Liguria pare fuori partita. Perché sui giornali il candidato ha fatto trapelare solo una parte del sondaggio, quello sul “nome”, omettendo che le liste della sua coalizione sono sotto di dieci punti rispetto al Pd e omettendo il sondaggio sulla credibilità del candidato, da cui non esce affatto bene. Nemmeno la Ghisleri, che è una che ci prende sempre, ha gradito che Toti uscisse sui giornali come uno che se la gioca mentre appare avviato verso una sconfitta sicura. Perché la brava Alessandra sono dieci anni che non ne sbaglia una, non può mica sbagliare i dati della fine di un’epoca.


Maxi-incendio in Siberia: 15 morti e 1.200 case distrutte

Maxi-incendio in Siberia: 15 morti e 1.200 case distrutte



Sono almeno 15 le persone uccise da un incendio di vaste dimensioni scoppiato ieri nella regione della Khakassia, in Siberia meridionale. 
Le fiamme - ormai domate - hanno distrutto più di 1.200 abitazioni lasciando senza un tetto più di 2.000 persone in 38 centri abitati. Lo fanno sapere il ministero delle Emergenze e le autorità sanitarie locali.

Più di 600 persone hanno avuto bisogno di assistenza medica e 8 versano in gravi condizioni. L'incendio sarebbe nato da falò di stoppie finiti fuori controllo.

Troppe armi in giro nel far west Italia

Troppe armi in giro nel far west Italia

La strage di Milano ripropone il problema della sicurezza nei luoghi pubblici ma anche la necessità di un maggior rigore legislativo nella concessione del porto d'armi. Politica, il Pd alla prova dell'Italicum, Forza Italia lacerata alle regionali. Nuova strage di migranti davanti le coste libiche. Calcio, sorpasso Lazio mentre la Juve (sconfitta dall'ultima in classifica) domani affronta il Monaco in Champions.
Il commento del direttore Ezio Mauro in apertura della riunione di redazione del mattino. Gli interventi dei responsabili dei settori. Le nostre telecamere dentro Repubblica
di Gianluca Luzi, a cura di Giorgio Caruso
montaggio Paolo Saracino

Tè o caffè? 8 buoni motivi per sceglierli (o evitarli)

Tè o caffè? 8 buoni motivi per sceglierli (o evitarli)
DI IRMA D'ARIA per RepubblicaSalute.it
Cosa è meglio bere per la salute: un caffè o un tè? Sono due tipiche bevande che consumiamo non solo a colazione ma anche a metà mattina e pomeriggio. Al di là dei gusti personali, gli studi scientifici ci dicono che il caffè previene i tumori del fegato e il diabete di tipo 2 mentre il tè ha un effetto protettivo generale sul cuore e da alcuni tipi di tumori. Il caffè aiuta anche a combattere depressione e cellulite mentre il tè (specie quello verde) aiuta a dimagrire. Allora, fanno tutte e due bene alla salute oppure una di queste due bevande è più salutare dell’altra? E chi, invece, deve starne alla larga? Amleto D’Amicis, vice-presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana, ci guida alla scoperta dei benefici del caffè mentre Franca Marangoni della Nutrition Foundation of Italy ci parla degli effetti protettivi del tè. Alla fine chi vince il match? “Per il caffè ci sono più studi scientifici che ne attestano i benefici per la salute mentre per il tè ce ne sono ancora pochi” risponde D’Amicis. “Ma soprattutto quello verde è davvero molto ricco di antiossidanti che sono preziosissimi per il nostro benessere. Ecco perché alla fine, c’è assoluta parità tra queste due bevande”.


I BENEFICI DI UNA TAZZINA DI CAFFE’
Cosa contiene
Il caffè contiene oltre 900 sostanze tra cui importanti sali minerali come: potassio, calcio, magnesio, fosfati, solfati, vitamine e polifenoli. Alcuni restano nella bevanda (ad esempio il potassio), altri vengono trattenuti dal filtro (grassi e cere), altri ancora si perdono con la tostatura (proteine e amminoacidi). E la caffeina? In una tazzina di caffè espresso del bar ci sono 40 milligrammi di caffeina se si tratta della miscela Arabica che salgono a 70-80 nel caso della Robusta.


Diabete di tipo 2
Secondo le ricerche pubblicate dall'Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC), l'assunzione di 3-4 tazze di caffè è associata ad una riduzione di circa il 25% di rischio di sviluppare diabete di tipo 2, comparato ad un consumo nullo o minore a 2 tazze al giorno. Un dato confermato anche dai ricercatori della Harvard University, che hanno dimostrato come aumentare il consumo della bevanda nel corso degli anni può aiutare a ridurre considerevolmente il rischio di contrarre il diabete di tipo 2. «Ancora non è ben chiaro perché il caffè possa proteggere dal rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 anche se qualche piccolo studio di bioinformatica ha confermato che alcune sostanze del caffè come l’acido clorogenico e la trigonellina riducono i livelli di glucosio e insulina nel sangue» spiega Amleto D’Amicis, vice-presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu). «Per la riduzione del rischio di diabete, è molto più efficace senza caffeina rispetto a quello con caffeina perché quest’ultima è un fattore predisponente al diabete mentre il caffè è protettivo».


Tumori del fegato
Secondo i risultati di una recente meta-analisi pubblicata in Clinical Gastroenterology and Hepatology e condotta su 3.153 casi di tumore al fegato, il consumo di caffè riduce di circa il 4% il rischio di carcinoma epatocellulare, il tipo più comune di tumore del fegato. Inoltre, sulla base dei dati di 9 studi, i bevitori di più di tre tazze di caffè al giorno riducono il loro rischio di più del 50%. «Sono state individuate le sostanze che conferiscono al caffè queste proprietà: si tratta dei diterpeni che sono grassi non saponificabili del caffè e che sono risultati agenti protettivi nei confronti della cellule epatiche» spiega D’Amicis. Il caffè, inoltre, riduce significativamente il rischio di cirrosi epatica e la riduzione è dose-dipendente.


Tumore dell’endometrio
Bere caffè può ridurre anche il rischio di tumore dell'endometrio. Ben otto studi, basandosi su più di 3.500 casi di tumore dell'endometrio, mostrano una protezione del 7% per ogni tazza di caffè bevuta. Risultati analoghi si avevano per il caffè decaffeinato, basati su circa 2.500 casi di tumore. Per spiegare l’associazione inversa sono stati proposti diversi meccanismi biologici. Il caffè, infatti, contiene molti composti bioattivi tra cui molti antiossidanti, che hanno un effetto anticancerogeno, e l’acido clorogenico, che potrebbe ridurre l’iperinsulinemia, soprattutto nelle donne obese che sono quelle a maggior rischio di tumore dell’endometrio.


Melanoma
Uno studio recente italiano mostra che il caffè riduce anche il rischio di melanoma di quasi il 50%, se bevuto giornalmente. L’effetto protettivo è più forte nei soggetti con alcune caratteristiche metaboliche legate agli enzimi della glutatione S-tansferasi (GST).


Fratture
In passato si riteneva che la caffeina contenuta nel caffè potesse causare una perdita di massa ossea. Gli studi sull’assunzione di caffè in relazione al rischio di fratture ossee avevano mostrato risultati discordanti. Ora un grande nuovo studio prospettico svedese, che si basa su più di 3.800 fratture dell’anca in donne in menopausa, ha mostrato un’assenza di relazione con il rischio di fratture e con il rischio di osteoporosi, pur in presenza di una riduzione di massa ossea del 2-4%.


Aspettativa di vita
Secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, bere molto caffè non aumenta il rischio di decesso in generale e per cause specifiche. “Questo importante studio” sostiene il Vicepresidente della SINU “è il primo a riportare una netta associazione inversa statisticamente significativa tra consumo di caffè e mortalità per tutte le cause. L’associazione inversa è dose dipendente, più caffè si consuma minore è il rischio di morte”. I ricercatori hanno anche intervistato 229.119 uomini e 173.141 donne sani, senza precedenti tumori o patologia cardiovascolare e cerebrovascolare, di età compresa tra i 50 e i 71 anni. Questi soggetti sono stati seguiti per un periodo di tempo che variava da 1 a 14 anni registrando le cause di morte dei 52.515 soggetti deceduti tra il 1995 e il 2008 tenendo conto anche di tutti gli altri fattori che potessero influire sullo stato di salute, come per esempio l’abitudine al fumo, il consumo di alcol, il peso corporeo, l’attività fisica e altri stili di vita. È risultato che, nei soggetti sani, all’aumentare del consumo di caffè diminuiva la mortalità totale.


Quanto berne e a che ora
L’organismo non deve superare i 5 mg di caffeina al giorno per chilo di peso corporeo. Da questa regola deriva l’equazione che stabilisce quante tazzine di caffè possiamo bere ogni giorno: basta moltiplicare il proprio peso per 5 (che sono i milligrammi concessi) e dividere il risultato per 60 (i milligrammi di caffeina contenuti mediamente in una tazzina). Il risultato ci darà il numero di tazzine che possiamo bere. Per esempio: 55 chili x 5 = 275 mg : 60 = 4-5 tazzine. Sull’orario-limite oltre il quale sarebbe meglio non bere più caffè, non ci sono regole: “Dipende molto dal tipo di miscela che si utilizza perché quella Robusta contiene il doppio di caffeina rispetto all’Arabica. Ma poi dipende anche da come viene metabolizzata la caffeina: ci sono alcune persone che la metabolizzano velocemente e quindi possono bere caffè a tutte le ore. Chi, invece, metabolizza più lentamente rischia di restare sveglio tutta la notte se prende il caffè dopo le 17” spiega D’Amicis. Ci sono poi alcune persone che devono stare alla larga dal caffè: “Chi ha un reflusso, l’ulcera gastrica o un’aritmia cardiaca”.


I BENEFICI DI UNA TAZZA DI TE’
Cosa contiene
Molto ricco di flavonoidi, un gruppo di polifenoli con potente attività antiossidante, il tè contribuisce in modo rilevante all’apporto giornaliero di antiossidanti con la dieta. “Le foglie, soprattutto quelle del tè verde, contengono anche catechine, flavonoli, acidi fenolici e un aminoacido, la teanina, che svolge un ruolo protettivo in alcune malattie” spiega Franca Marangoni della Nutrition Foundation of Italy. Una tazza di tè nero contiene circa 200 mg di flavonoidi. Tra i componenti del tè non bisogna dimenticare la caffeina: una tazza di tè di circa 250 ml ne apporta mediamente 40 mg, pari a circa la metà della dose contenuta in una tazza di caffè espresso.


Mortalità
Uno studio presentato al congresso dell'European Society of Cardiology ha svelato che fra i forti consumatori di tè il rischio di morire a causa di una problematica non cardiovascolare è inferiore del 24% rispetto a quello corso da chi non assume mai questa bevanda. Non solo, bere tè potrebbe fare bene anche a cuore e arterie. I ricercatori hanno monitorato lo stato di salute di oltre 130 mila pazienti tra i 18 e i 95 anni, analizzando il consumo di tè e caffè e altre caratteristiche del loro stile di vita attraverso dei questionari. I dati raccolti hanno svelato che i consumatori di caffè sono caratterizzati da un rischio cardiovascolare maggiore rispetto a chi non beve caffè, soprattutto se si tratta di fumatori. Non solo, in genere chi non beve caffè è risultato anche essere fisicamente più attivo. Al contrario, chi beve tè ha un profilo cardiovascolare migliore rispetto a chi non lo beve, è meno spesso dedito al fumo ed è più propenso a svolgere attività fisica. Per di più bere tè riduce la pressione sanguigna.


Infarto e ictus
L’effetto cardioprotettivo è sicuramente l’aspetto salutistico più studiato in relazione al consumo di tè. “Il consumo di tè nero è stato associato con una ridotta incidenza di cardiopatie e di mortalità per malattie cardiovascolari, e con la riduzione dei fattori di rischio ad esse associati” spiega Marangoni. “In particolare, l’assunzione di tre tazze di tè al giorno è risultata efficace nel ridurre l’incidenza di infarto del miocardio di circa l’11%”. Il consumo quotidiano di tè può ridurre anche il rischio di ictus ischemico. È questo il risultato principale che emerge dalla meta-analisi di nove studi condotti su un totale di circa 200.000 soggetti in sei diversi paesi (Stati Uniti, Giappone, Australia, Cina, Finlandia e Olanda). In particolare nei bevitori di tre o più tazze di tè al giorno il rischio di ictus fatale e non fatale risulta ridotto di circa il 21%. Gli autori ipotizzano che l’efficacia preventiva, o quanto meno di riduzione del danno post ischemico, vada attribuita in parte alla teanina, un aminoacido contenuto in dosi elevate nel tè, ma soprattutto ai polifenoli, dei quali il tè stesso è particolarmente ricco.


Colesterolo
Alcuni studi rilevato anche un effetto ipocolesterolemizzante del tè. In pazienti moderatamente ipercolesterolemici, che seguivano una dieta controllata, l’assunzione quotidiana di 5 tazze di tè, indipendentemente dalla presenza di caffeina, ha comportato la riduzione della colesterolemia totale (-6,5%), dei livelli di apolipoproteina B (-5%) e soprattutto del colesterolo LDL (-11,1%). “Questi risultati sono stati confermati anche da una recente revisione Cochrane su tutti i dati disponibili: ne è emerso che il tè ha effettivamente un effetto benefico sul colesterolo e anche sui valori della pressione” conferma Marangoni.


Ossa e denti
Un numero limitato di studi si è occupato anche della relazione tra consumo di tè e salute delle ossa e dei denti. Soprattutto nelle donne anziane, quattro o più tazze al giorno di questa bevanda migliorerebbero la densità ossea, mentre negli uomini il consumo di tè sembrerebbe rappresentare un fattore protettivo indipendente per il rischio di frattura dell’anca. “Si suppone che il tè contribuisca prevalentemente ad apportare fluoruri, in parte associati alle foglie che li hanno assorbiti dal suolo ed in parte presenti nell’acqua con la quale viene preparato, che ne è ricca, e che a loro volta ridurrebbero la progressione dell’osteoporosi” spiega l’esperta. Il tè verde è, inoltre, un antibatterico naturale soprattutto per la bocca e i denti. Le sostanze contenute nel tè verde sono in grado di contrastare l'azione di uno dei batteri presenti nel cavo orale, lo Streptococcus mutans. Studi scientifici hanno confermato l'azione benefica del tè verde contro i batteri che possono causare problemi dentali. Bere tè verde potrebbe aiutare a prevenire la carie.


Perdita di peso
In uno studio, in particolare, è stato dimostrato che i soggetti che consumavano tè verde e caffeina hanno perso una media di 1 kg e 360 grammi in 3 mesi, mantenendo la loro dieta normale. Altri studi, ancora, mostrano che i regolari bevitori di tè hanno più bassi indici di massa corporea (BMI) e un migliore rapporto vita-fianchi, con meno grasso corporeo, rispetto ai non bevitori. Un ultimo studio, infine, ha dimostrato che l’aumento di calorie bruciate a causa della sana abitudine di bere tè equivale a circa 100 nelle 24 ore. “L’elevato contenuto di polifenoli e altri antiossidanti fa aumentare il dispendio energetico e l’ossidazione dei grassi con un effetto sulla composizione del grasso corporeo e anche sul metabolismo. Ma non ci sono ancora studi scientifici condotti su numeri elevati che possano farci trarre delle conclusioni” chiarisce Marangoni.


Tè e tumori
Il tè può avere un ruolo protettivo anche nei confronti di alcuni tumori. “Una meta-analisi di sei studi sul consumo di tè verde ha concluso che nelle donne che consumano abitualmente tè verde il rischio di avere un carcinoma ovarico si riduce del 19%” spiega Marangoni. Un altro gruppo di ricercatori ha scoperto che, dopo un anno il 30% di uomini affetti da cancro della prostata hanno avuto una progressione della malattia, rispetto a solo il 9% di quelli inseriti in un gruppo di controllo con supplementazione giornaliera di tè. Infine, un’altra meta-analisi condotta su più di tre milioni di persone ha messo in relazione il consumo di tè e cinque tipi di tumore: mammella, colon-retto, prostata, stomaco e fegato. “I dati sono incoraggianti, ma gli studi sono condotti ancora su campioni troppo piccoli per poter ottenere dei risultati scientificamente validi”.


Quanto berne e a che ora
Se il tè contiene caffeina, quanto possiamo berne ogni giorno? “Poiché il consumo raccomandato resta lo stesso del caffè, cioè 5 milligrammi di caffeina per peso corporeo, si può concludere che ogni giorno possiamo bere in tutta tranquillità fino a 10 tazze di tè” spiega Marangoni. Proprio di recente, tra l’altro, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha stabilito che dosi singole di caffeina fino a 200 mg e dosi quotidiane fino a 400 mg non destano preoccupazioni in termini di sicurezza per gli adulti. E per l’orario-limite? “Gli effetti della caffeina sull’attenzione e lo stato di allerta sono confermati, ma la risposta è molto soggettiva. In realtà, è sconsigliabile bere una tazza di tè prima di andare a letto, ma ciascuno ha la sua risposta individuale e per alcune persone non rappresenta un problema”.


Soldi ai partiti, 180 milioni di rimborsi: così la Lega ha spremuto “Roma ladrona”

Soldi ai partiti, 180 milioni di rimborsi: così la Lega ha spremuto “Roma ladrona”

Il Carroccio ha beneficiato di tutte le leggi sui contributi elettorali statali. Dal 1988 al 2013. Dal fondatore Umberto Bossi al nuovo leader Matteo Salvini. Passando per Roberto Maroni. Eppure il partito ora ha le casse vuote. E vari processi aperti per le spese pazze dei suoi vertici
di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per IL Fatto Quotidiano.it

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma difinanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che lamagistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della LegaFrancesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia delmiliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.
RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.
ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.
CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di undecreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire undoppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.
FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD
(1988-2013)
1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57
TOTALE 179.961.382,78





Vitalizi ai condannati e stipendi L’arrocco del Parlamento

Vitalizi ai condannati e stipendi L’arrocco del Parlamento

di Sergio Rizzo per IL Corriere Della Sera.it

Le Camere costrette a rimettersi a una legge per risolvere il nodo indennità ai condannati. Mentre per il tetto dei salari al personale si pensa a «tagli a tempo»


ROMA - Da mesi il Terrore si aggira nelle immediate vicinanze del Palazzo. Serpeggia nell’elenco sterminato dei vitalizi degli ex parlamentari, alla ricerca dei condannati in via definitiva, ora sotto il peso di una valanga di carte: otto-pareri-otto prodotti da altrettanti illustri costituzionalisti.
Serpeggia da tempo, anche se una brusca accelerazione si verifica a novembre, quando il presidente dell’assemblea regionale siciliana Giovanni Ardizzone spedisce alla Camera e al Senato il suo carteggio con l’Avvocatura dello Stato sul caso di Salvatore Cuffaro. L’ex presidente della Regione condannato a 7 anni per vari reati fra cui il favoreggiamento a Cosa Nostra, classe 1958, percepiva un vitalizio regionale di 6 mila euro al mese: impensabile, dopo le furiose polemiche scoppiate sul caso, che non si ponesse un problema. Risolto, appunto, con un parere dell’Avvocatura dello Stato secondo cui a chi viene colpito dalla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici prevista per condanne superiori a 5 anni il vitalizio non va soltanto sospeso, ma revocato del tutto. Gli avvocati richiamano quell’articolo del Codice penale che prevede appunto per quei soggetti la privazione «di stipendi, pensioni o assegni che siano a carico dello Stato». E a nulla vale appellarsi al fatto che la Consulta abbia decretato l’incostituzionalità della norma nella parte relativa alle pensioni. Perché il vitalizio, argomenta l’Avvocatura, è cosa ben diversa dalla pensione, essendo legato non a un rapporto di lavoro ma a un mandato pubblico elettivo. Amen.
Recapitate da Ardizzone ai piani alti della Camera e del Senato, quelle sei paginette contengono un messaggio nemmeno troppo subliminale: e adesso che cosa si fa con i vitalizi parlamentari? Non che ai vertici del Parlamento mancasse la volontà di tirare fori dalla naftalina il dossier degli ex onorevoli condannati e titolari di assegni spesso profumati. Ad agosto il presidente del Senato Pietro Grasso aveva dichiarato pubblicamente l’intenzione di togliere il vitalizio a quei senatori condannati per i reati che secondo la legge Severino comportano l’incandidabilità. Ma la vicenda di Cuffaro, che prima di finire in carcere era fra l’altro anche senatore, è stato un detonatore micidiale. Con il rischio di provocare un’esplosione ben più grande. Così devastante che subito si sono alzate le barriere protettive. Anche perché al di là dei casi più eclatanti come quello di Marcello Dell’Utri che come Cuffaro si è beccato 7 anni, i condannati che potrebbero perdere il vitalizio, ora ma anche in futuro, sono un bel numero.
E il problema riguarda quasi tutti i partiti, ai quali l’impostazione rigorista di Grasso non va affatto giù. Scontato, dunque, che trovare un accordo sull’applicazione immediata di una tagliola fosse impossibile. Come sempre capita in questi casi, è allora partita la sarabanda dei pareri pro veritate: ma giusto per scaricarsi, viene da pensare, della responsabilità di una decisione che per forza di cose sarà tutta (e solo) politica.
Fra Camera e Senato, come ha raccontato qualche settimana fa sul Corriere Dino Martirano, ne sono stati chiesti addirittura otto, a otto fra costituzionalisti, giuristi, consiglieri e presidenti emeriti della Consulta. Nomi come Sabino Cassese, Michele Ainis, Alessandro Pace, Massimo Luciani, Giancarlo Ricci, Franco Gallo, Valerio Onida e Cesare Mirabelli. Con l’ovvio esito di trovarsi di fronte a otto punti di vista non coincidenti. E sorvoliamo sul costo: pure chi (per esempio Onida) aveva manifestato l’intenzione di svolgere l’incarico gratuitamente, ha dovuto in seguito alle insistenze degli uffici staccare la parcella minima. Da 8 mila euro.
Il risultato è che mercoledì prossimo, alla riunione congiunta fra i vertici di Camera e Senato per stabilire il da farsi, si finirà probabilmente per rimandare la soluzione a un’apposita legge. Un provvedimento complicato, dove non si potrà non tener conto della legge Severino che impone l’incandidabilità per pene superiori a due anni. Ma che, immaginiamo, sarà anche un terreno di scontro feroce sulla retroattività delle sanzioni. E se nel frattempo, come vorrebbe qualcuno, anche la legge Severino venisse modificata... Speriamo soltanto che non venga fuori l’ennesimo pasticcio, però le premesse ci sono tutte.
Come ci sono per un’altra rogna che la Camera dovrà affrontare giusto il giorno prima, martedì 14. Domani è infatti prevista la riunione della cosiddetta commissione contenziosa, composta dall’ex grillino Tancredi Turco, dal democratico Alberto Losacco e dal forzista Antonio Marotta, competente per giudicare sui ricorsi dei dipendenti. Pure alla Camera i sindacati hanno contestato il taglio degli stipendi previsto per allinearsi al tetto dei 240 mila euro fissato alle retribuzioni di tutti i dipendenti pubblici. Ma è una decisione, quella affidata domai ai tre, che difficilmente non sarà influenzata da quanto è già accaduto al Senato. Lì i 14 sindacati dei dipendenti non sono riusciti a evitare la riduzione degli stipendi ma hanno portato ugualmente a casa un risultato clamoroso: la temporaneità dei tagli. Resteranno in vigore solo fino al 31 dicembre 2017. Due anni o poco più: poi si vedrà.
I miracoli dell’autodichìa, principio assurdo in base al quale gli organi costituzionali stabiliscono le regole per se stessi, in barba a quelle che valgono per gli altri comuni mortali, non cessano di stupirci. Ma c’è da chiedersi se nel 2015 tutto questo abbia ancora un senso. E la risposta è ovviamente una sola: no.